Una donna di razza mista sembra essere la terza persona in assoluto ad essere curata dal virus con un nuovo approccio che ha il potenziale per curare più persone di origini razziali diverse.
A livello globale, 37.7 milioni di persone convivevano con l'HIV alla fine del 2020 (secondo l'OMS).
In Africa, colpisce quasi 1 adulto su 25, con la sola regione che rappresenta oltre i due terzi di quella sconcertante in tutto il mondo statistica.
Da quando il virus dell'immunodeficienza è emerso inizialmente nella popolazione, la scienza ha svolto un ruolo cruciale nell'affrontare l'epidemia.
E mentre centinaia di migliaia di persone muoiono ancora ogni anno per cause legate all'HIV, i rimedi disponibili come terapia antiretrovirale – che riduce anche il rischio di trasmissione – continuano ad aiutare sempre più persone che risultano positive a vivere una vita più lunga e più sana.
Ma per decenni non esiste una cura.
Fino ad oggi, perché gli scienziati potrebbero aver appena scoperto un trattamento rivoluzionario che ha il potenziale per curare più persone di origini razziali diverse (ovvero quelli più colpiti) di quanto precedentemente ritenuto possibile.
Utilizzando un nuovo metodo di trapianto di cellule staminali che sperano possa essere somministrato a dozzine ogni anno, un gruppo di ricercatori americani in Colorado è stato in grado di curare la terza persona sulla Terra dall'HIV.
Segna la prima volta una donna (in cui l'HIV si sviluppa e progredisce in modo diverso) ed una persona di colore ha mai avuto la malattia sradicata dal proprio sistema.
Lasciando l'ospedale solo 17 giorni dopo la sua trasfusione, ha sofferto di effetti collaterali minimi rispetto ai suoi predecessori maschi, ha interrotto i farmaci per l'HIV 37 mesi dopo l'intervento e oltre un anno dopo non ha ancora sperimentato alcuna recrudescenza.
La donna, di razza mista, ha ricevuto sangue del cordone ombelicale, particolarmente rivoluzionario perché più facilmente disponibile rispetto alle cellule staminali spesso utilizzate nei trapianti di midollo osseo.
Inoltre non è necessario che sia così vicino al paziente; un altro vantaggio dato che la maggior parte dei donatori sono caucasici.